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Immagine del redattoreAnnaclaudia Amadori

Casa Sicura

Ho cercato quella casa per anni, senza trovarla. O meglio, senza volerla trovare davvero. Apro piano la porta di legno, così vecchia e rovinata dall' umidità e dallo scorrere del tempo. I cardini cigolano, questo suono spettrale stona in mezzo ad un bosco animato soltanto dal cinguettio degli uccelli. Entro e l' odore acre e pungente di un luogo che non viene aperto spesso investe le mie narici. Mi guardo intorno con attenzione, sono terrorizzata dai topi e spero con tutto il cuore di non trovarne una colonia qui dentro. Ma qui dentro non c'è nulla di vivo, solo residui di un'umanità dimenticata: un vecchio baule , ritagli di giornale strappati dalle pareti, dell'edera che cerca il suo nutrimento da quel pavimento polveroso. Sussulto nel vedere un paio di scarponi sformati … quanto ne ho sentito parlare, di quegli scarponi.

La nonna diceva sempre che nella vita è importante scegliere da che parte stare e, soprattutto, scegliere la parte giusta. Nonna Jolanda era nata nel 1927 e in questa casa è stata concepita mia mamma Tosca, nella primavera del 1945. Con nonno Daniel. Il nonno era letteralmente piovuto a casa della nonna nella primavera del 1944: figlio di un dirigente ebreo della Olivetti, aveva rifiutato di scappare in Svizzera per rimanere a combattere con la Resistenza. Nonna Jolanda e la sua famiglia vivevano nel bel mezzo delle Langhe: avevano terra, bestiame, fienili. Suo padre viveva da mesi sulle montagne perché era diventato un Combattente partigiano, sua madre preparava per loro cibo e abiti che nonna Jolanda, da brava staffetta quale era diventata, portava in bicicletta nei boschi. Avevano molto spazio e spesso ospitavano ragazzi e uomini che, fuggiti ai rastrellamenti, necessitavano di un posto sicuro in attesa di fuggire o di unirsi alla Resistenza. Nonna Jolanda diceva sempre che si era innamorata di nonno Daniel perché un uomo dai piedi così grandi era speciale per forza. Aveva diciotto anni quando arrivò nella sua vita; era alto, magrissimo, con ginocchia ossute che sporgevano dai calzoncini corti e indossava un paio di scarponi che sembravano essere presi in prestito, tanto erano grandi. Era forte, intelligente e arrabbiato contro quel malgoverno che aveva permesso ai Tedeschi di portagli via tutto. Ma allo stesso tempo adorava parlare di opera e di letteratura e non aveva smesso di pianificare un futuro diverso, nel quale l'uomo contasse più di un certificato di nascita. E in quel futuro, pacco di viveri dopo pacco di viveri, cominciò a raffigurare anche quella ragazzina dall'aspetto delicato, ma con coraggio da vendere. Nelle canzoni popolari si parla tanto dei partigiani, ma, come sottolineava sempre la nonna, la Resistenza non avrebbe funzionato senza una rete di donne coraggiose che coordinavano non solo la rete delle provviste, ma anche quella delle comunicazioni e che spesso si trasformavano in infermiere per curare i Combattenti partigiani. La nonna aveva un solo cappotto, un loden verde, con delle tasche talmente grandi da avere la capienza di una borsa. Qui nascondeva pane e formaggio e due volte alla settimana partiva con la sua biciletta da casa per raggiungere il limitare dei boschi. Poi nascondeva la biciletta in mezzo ai rovi e proseguiva a piedi fino alla casa sicura, per consegnare i viveri. Ogni tanto qualcuno si presentava nella loro cascina con ordini e messaggi scritti su fogli di riso e allora la nonna doveva recarsi alla casa sicura anche nei giorni non prestabiliti, e nascondeva le preziose informazioni in una tasca segreta cucita nel suo vestito, proprio all'altezza del cuore. La nonna raccontava sempre che i primi mesi del suo incarico era terrorizzata ogni volta che si metteva in marcia. Non erano i boschi dove lei era cresciuta a spaventarla, anzi … una volta nascosta la bicicletta si sentiva a suo agio e protetta dagli alberi e da quei sentieri che solo lei e gli altri bambini del paese conoscevano, abituati com'erano ad andare a caccia di funghi e tartufi e asparagi selvaggi non appena usciti dalla culla. Aveva paura dei soldati tedeschi e di quelli italiani che incontrava per le strade, che ogni tanto la fermavano per fare gli stupidi, più che per perquisirla e poi giustiziarla. Aveva imparato che fare la civetta le garantiva un passaggio sicuro e a volte una sigaretta o un pezzo di cioccolata. Altre volte, dopo aver consegnato i viveri o i messaggi , perlustrava i boschi per tornare indietro carica dei “doni della foresta” (come li chiamavano lei e sua sorella da bambina) da mostrare ai soldati nel caso le chiedessero come mai fosse in giro tutta sola. La nonna rimpiangeva di non aver mai imparato a cacciare col fucile, perché avrebbe trovato senz'altro scuse migliori e sarebbe stata più utile al sostentamento della famiglia. E, se avesse saputo sparare, magari sarebbe stata anche lei una Combattente e non avrebbe mai lasciato Daniel. Nonno Daniel aveva saputo trasformare la paura della nonna in eccitazione ed impazienza. A lei non importava più correre dei rischi, doversi far violenza nel parlare vanitosa a uomini che detestava dal profondo, sopportare il male alle gambe perché la distanza da coprire tra la fattoria e la casa sicura era tanta: finché avesse ritrovato gli occhi castani più profondi che avesse mai visto e quel sorriso un po' beffardo avrebbe avuto la sua ricompensa.

Nonno Daniel non era sempre alla casa sicura, a volte era in missione e allora la nonna tornava a casa piena di angoscia e non riusciva a dormire la notte. Alla consegna successiva aveva il cuore colmo di speranza ed i chilometri parevano infiniti. Quando varcava questa stessa porta che io ho appena aperto cercava nonno Daniel con lo sguardo e, se non lo trovava, provava a trovare nelle espressioni degli altri partigiani indizi che indicassero intoppi o perdite. Ma, fortunatamente, ogni volta arrivava lui, sempre più magro, con sempre più occhiaie, ma con il volto illuminato da un sorriso che riempiva la stanza.

La nonna ha sempre avuto un certo senso del pudore, mi ha sempre ripresa per i discorsi sui ragazzi che origliava tra me e le mie amiche, per ogni numero di “Cioè1 trovato in giro per casa e per certe minigonne che a guardarle ora sembrano troppo corte anche a me. Ma a lei piaceva tanto parlare d'amore, quello con la A maiuscola, quello che l'aveva aiutata a sopportare la guerra, le restrizioni e la solitudine. Già, perché se i Combattenti erano insieme sul campo e nei momenti di riposo, loro, le Staffette, erano sole in ogni missione. Dovevano improvvisare perché tutto quello che sapevano era che il “pacco” andava portato da qui a là: nessuno indicava loro quali strade percorrere, come comportarsi in caso di contatto con il nemico. Tutto dipendeva dalla loro freddezza e capacità di improvvisazione. Non sapevano nulla dei loro padri, mariti, fratelli. Carpivano notizie frammentate, ma mai nessuno che riferisse qualcosa di completo. Quando la notte tornavano a dormire nelle loro case era sole con i loro demoni.

E per nonna Jolanda fortunatamente era arrivato anche l' Amore. Lei e il nonno si diedero il primo bacio al limitare del bosco, un pomeriggio in cui lui insistette per accompagnarla fino alla bicicletta. La nonna racconta sempre che era talmente imbarazzata da non riuscire a dirgli nemmeno una parola e che lo stesso provava lui, che di solito era così ciarliero. Lei raccolse la sua bicicletta, lui l'aiutò e fu quella vicinanza ad essere galeotta. Da quella volta rubarono baci dietro la casa sicura, vicino a un ruscello, in mezzo al bosco. Perché il nonno non potè più accompagnarla fino alla biciletta, era troppo rischioso e avrebbe fatto saltare la copertura.

Non ho la forza di attraversare la stanza, di lasciare le mie impronte su quel pavimento dove hanno camminato tanti eroi. Allora la costeggio accarezzando il muro con la mano, come se volessi creare un ponte tra il presente ed il passato. Arrivo in un'altra stanza con un grande tavolo da pranzo in mezzo e continuo a muovermi come un geco , con la paura irrazionale di essere risucchiata in un passato che non voglio vivere. Un'altra porta conduce a una scala di legno. Salgo sul primo gradino e si sbriciola sotto al mio peso. Non riuscirò a salire al piano superiore. Sorrido … chissà se mia mamma Tosca è stata concepita in una di quelle stanze che non potrò visitare mai.

Ogni volta che pioveva nonna Jolanda si metteva alla finestra ad osservare la pioggia. I temporali non la stancavano mai. Quando da ragazzina mi alterai di fronte a questo suo alienarsi del tutto mi raccontò che fu proprio grazie a un temporale che trascorse una delle serate più belle della sua vita.

Era una giornata fredda, il cielo era grigio e minacciava pioggia. Non erano previste consegne per quel giorno, ma un ragazzo bussò alla loro fattoria dicendo che c'era un messaggio urgente da portare alla casa sicura. Nonna Jolanda partì immediatamente, ma, vedendo un nutrito gruppo di soldati sulla sua strada, fu costretta a prendere il percorso più lungo. Un temporale la sorprese nel bosco e arrivò alla casa sicura che era già sera inoltrata. Nessuno ebbe il coraggio di farla tornare indietro. Così passò la notte lassù, insieme a Daniel . Ha sempre detto che sua figlia Tosca era stata concepita quella notte.

Sorrido, ripensando all'espressione beata della nonna. Si sta facendo tardi e, sebbene io non debba tornare a casa in bicicletta, percorro la mia strada da geco al contrario fino a tornare all'ingresso. Chiudo la porta senza guardarmi indietro portando con me i ricordi che vivono in questo posto.

Magari ci tornerò insieme ai miei figli e a mio marito.

1Rivista in voga tra adolescenti negli anni '80 e '90, edizioni Panini


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