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Immagine del redattoreAnnaclaudia Amadori

LOVE IN AN ELEVATOR

<< Sono in ritardo. Lo sapevo che dovevo prendere un taxi. E che male ai piedi! Dovevo uscire con le ballerine e mettere i tacchi dopo! >> pensava Valeria spazientita, passando lo sguardo veloce dall'orologio al display dell'ascensore che sembrava non arrivare mai a zero.

Una, due, tre, quattro persone uscirono dall'abitacolo, troppo lente per i suoi gusti. Un uomo, perso nel suo cellulare, non si mosse.

<< Esce? >>

<< No, salgo. Non volevo perdere la corsa >> rispose lui, senza degnarla di uno sguardo.

Valeria spinse il pulsante del quarantesimo piano e pregò che l'ascensore non facesse tutte le fermate.

Trovava insopportabile che la sede della Regione Piemonte si trovasse in un grattacielo tanto alto e che i suoi soci di Milano avessero scelto di mandare in trasferta lei, che si sentiva male anche solo a guardare dalla finestra di un primo piano.

Per non pensare all'altezza si concentrò sulla pulsantiera. Perfetto, non c'erano tasti illuminati eccetto il quarantaduesimo. Sarebbe scesa in un batter d'occhio da quella scatoletta infernale.

Un rallentamento al venticinquesimo seguito da uno stridolio metallico, la cabina perse stabilità e poi il buio.

Valeria perse l'equilibrio, non riuscì ad appoggiarsi alle pareti dell'abitacolo e cadde malamente appoggiandosi a un polso.

<< Si sente bene? >> le domandò l'uomo del cellulare.

<< No, mi fa molto male il braccio >> rispose lei con un filo di voce.

L'uomo si avvicinò a carponi e illuminò il braccio di Valeria con la torcia del telefono.

Percepiva il suo respiro affannato e nasale anche senza vederla.

<< Mi chiamo Marco, sono un medico del pronto soccorso del Mauriziano, e mi piacerebbe dare un'occhiata al suo braccio. >>.

Valeria sibilò un sì. Dolore.

<< Sembra una frattura, ma non ha lacerato la pelle - si allontanò e rovistò nella valigetta, rumore di stoffa strappata – ora immobilizzerò tutto l'avambraccio con un giornale, e poi assicuriamo tutto al collo. >>

<< Grazie, io mi chiamo Valeria Guidi. >>

<< Non è possibile... Lei è originaria di Riccione? >>

<< Perché me lo chiede? >>

<< Andavo al liceo con una Valeria Guidi . >>

<< Marco Gallo! Sei proprio tu! >>

Marco era finito al liceo scientifico Volta di Riccione in quarta superiore quando suo padre aveva vinto il primariato di Medicina all' ospedale Ceccarini , obbligando parte della sua famiglia al trasferimento. Suo fratello, che già studiava al politecnico di Torino, riuscì a scampare a quella che per Marco era una tragedia indicibile: aveva 16 anni e non voleva abbandonare il mondo che conosceva, i suoi amici, il suo circolo di scacchi. Nè aveva voglia di inserirsi in una classe che era cresciuta insieme da almeno tre anni. A corso iniziato, poi. Era introverso, arrabbiato e scoraggiato.

L' unico banco libero era quello di fianco a Valeria, estroversa, dolce e sorridente.

Lui aveva bofonchiato un “ciao” tra i denti senza nemmeno guardarla. Lei invece lo aveva osservato con attenzione non appena era entrato in classe: basso, magrolino, con una massa di capelli ricci e castani da mettersi in competizione con un jamaicano. Bellissimo. Ecco a cosa aveva pensato Valeria durante le prime ore di lezione insieme.

Fu per la fragranza del profumo Eden mista ad una nota di cloro che un Marco sempre più rassegnato al destino crudele cominciò ad alzare lo sguardo dal banco e ad incrociare i suoi occhi verde smeraldo con quelli neri di Valeria: quasi tutte le ragazze sapevano di Anais Anais o di Naf Naf (chissà perché tra le liceali andavano di moda i profumi dal doppio nome) , ma lei no, si distingueva dalle altre.

Rimasero compagni di banco per il resto dell'anno e per quello successivo. Studiavano spesso in biblioteca insieme ed insieme presero la patente. Lei si cimentò, con scarsi risultati, negli scacchi, lui imparò finalmente a nuotare seguendola in piscina. Che si trattasse di una serata in pizzeria con la classe o di una maratona di giochi da tavola a casa di qualcuno, finiva sempre con lunghe chiacchierate che spesso suscitavano le ire dei genitori per i loro ritardi cronici.

Come del resto accadeva ogni giorno dopo pranzo, quando si chiamavano per parlare di tutto e di niente. C'era Valeria quando, per la prima volta, Marco fece un bagno in mare tuffandosi dal pedalò. C'era Marco al reparto di malattie infettive vestito come un palombaro quando Valeria venne ricoverata per mononucleosi.

Fu a casa di Valeria che trascorsero tutte le “Notte prima degli esami” di maturità, giocando a scala 40, ripassando, interrogandosi a vicenda e mangiando nutella e pop corn.

Si abbracciarono per la prima volta quando si diedero il cambio nell'aula per la prova orale.

Si abbracciarano di nuovo, saltando felici, davanti ai cartelloni.

Si baciarono una volta soltanto, la sera prima di trasferirsi per l' Università, medicina a Torino per lui, economia a Bologna per lei. Un bacio pieno di promesse eppure nostalgico sugli scogli artificiali al nautofono di Rimini dopo un'ultima serata di birra e risate, accompagnati dalle note di “Love in an elevator” degli Aerosmith.

Trascorse il primo anno di università, le telefonate Bologna-Torino si facevano sempre più rare e formali, per poi scomparire al terzo anno di università, con l' Erasmus in Spagna per lei.

Valeria si laureò in 4 anni, si trasferì a Manhattan per un master e lì rimase per i successivi 5 anni.

Marco si laureò due anni dopo e fece la specializzazione a New York.

In un giorno di inverno a Marco sembrò di vedere Valeria scendere di corsa dalla metropolitana.

Ma non poteva essere lei, con quel portamento rigido e il volto tirato. Sicuramente era solo una che le assomigliava. Ma da quel giorno, fino al ritorno a Torino, cominciò a cercarla negli sguardi di tutte le donne more con i capelli corti che incrociava.

L' università prima e gli Stati Uniti poi avevano cambiato Valeria che, volendo eccellere in un mondo prevalentemente maschile, aveva lasciato la dolcezza ed i sorrisi nello scatolone con i ricordi del liceo.

Non aveva tempo per le amicizie, né per l'amore. Frequentava colleghi e colleghe, ogni tanto una mezza storia, ma niente che potesse distrarla dalla carriera. Non lasciava entrare nessuno che poi si allontanasse dopo un bacio nostalgico e pieno di promesse non mantenute sugli scogli.

Marco si sposò in fretta al suo rientro a Torino con una dottoressa della pediatria conosciuta a un congresso dalla quale divorzò dopo un decennio perché, paradossalmente, non voleva figli.

Valeria venne trasferita alla sede milanese della ditta per cui lavorava a New York.

Non si fece mai trascinare nella movida della Milano bene, si iscrisse ad un circolo di scacchisti per evitare le serate in solitaria nel suo grande appartamento, rigorosamente al piano terra.

Nuotava ogni giorno per affrontare con più concentrazione le ore di lavoro e cercava di farlo anche quando era in trasferta.

Anche Marco nuotava ogni qualvolta i turni glielo permettevano, il nuoto era l'unica attività alla quale si fosse affezionato oltre agli scacchi. Era stato in piscina anche prima di recarsi al grattacielo della Regione per una noiosissima questione burocratica.

Valeria si era distratta un attimo osservando le larghe spalle tornite di un nuotatore con la cuffia troppo piccola per tutti i capelli che aveva.

Marco era rimasto colpito da una nuotatrice che non si era mai fermata per tutto il tempo in cui lui era rimasto in vasca, virando in maniera elegante tra una direzione e l'altra.

Valeria era quasi in ritardo.

Marco aveva sbagliato piano e si era infilato nel primo ascensore disponibile per non accumulare ulteriore ritardo.

Ci voleva un ascensore bloccato per farli incontrare, dopo essersi mancati tutta la vita.

Rimasero chiusi lì dentro per quasi sette ore. Non c'erano gli scogli. Non c'era stata la birra.

Non c'erano gli Aerosmith in sottofondo. Ma quel secondo bacio mantenne tutte le promesse che erano rimaste sospese per vent'anni o poco più.


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