Buongiorno a tutti! A gennaio ho avuto il privilegio di frequentare un workshop di scrittura tenuto dalla meravigliosa Ida Daneri (https://ida.blogfree.net/?st=70) .
Volevo condividere con voi il risultato del compito "trapianto emozionale".
Di cosa si trattava?
Dovevamo pensare a un momento unico e toccante della nostra vita. Riassumerlo in poche righe e in terza persona prima, farne un breve racconto poi.
Credo di avervi già dato uno spoiler nel titolo del post, se vi va godetevi anche il resto :-)
A ogni contrazione Sara sentiva cedere le gambe e la schiena. Aveva fantasticato per nove mesi su quel
momento, schernendo sua madre per le idee antiquate sul parto naturale e sul dolore come prezzo da
pagare a Dio in cambio del dono di un bambino.
Sara credeva nella scienza e nel potere dell’epidurale che, nel 2010, erano un’accoppiata più efficace
rispetto alle prediche della domenica di Don Sandro.
Aveva sorriso davanti ai timori delle poche amiche che ci erano già passate: lei era un’atleta e il suo corpo
non si sarebbe squarciato al momento clou. Aveva corso maratone senza farsi condizionare dai muscoli che
bruciavano e dai polmoni che non riuscivano a incamerare abbastanza ossigeno quando si trovava a pochi
chilometri dal traguardo e non aveva progettato bene la gara.
Alessandro sarebbe stato la sua corsa più faticosa, quella col premio più prezioso.
Le contrazioni che le piegavano le gambe avevano distrutto tutte le sue convinzioni. Almeno finché non era
arrivato quel medico rassicurante con un’ancor più rassicurante siringa piena di anestetico. L’ odore del
disinfettante, un pizzico e una sensazione di freddo lungo la spina dorsale. Poi il niente.
‹‹Sei dilatata solo di due centimetri, sarà una lunga notte›› le disse il medico
‹‹Vuol dire che ho tutto il tempo di finire il mio libro›› rispose, addormentandosi dopo nemmeno dieci
pagine di Hunger Games.
‹‹Dieci centimetri, è ora!››
‹‹Ma io voglio dormire ancora un po’››
‹‹Spingi!›› Il tono dell’ostetrica non era rassicurante come quello del medico anestesista.
Sara guardò il marito.
‹‹È una stronza.›› giudicarono in contemporanea i loro sguardi.
‹‹Spingi!››
Sara inspirò. Odore di anestetico e aria viziata. Spinse. Strinse la mano del marito. Non faceva male. Non
così male.
‹‹Vedi, mamma. Avevo ragione io.››
‹‹Spingi!››
Altro respiro, altra spinta.
‹‹È più facile di una maratona.››
‹‹Spingi!››
Era trascorsa nemmeno mezz’ora e avrebbe voluto recidere le corde vocali dell’ostetrica con il coltello di
plastica sul vassoio di fianco a lei.
‹‹Spingi!››
‹‹Porca puttana, se va avanti così mi tocca un cesareo…››
‹‹Spingi!››
Era sicura: suo marito avrebbe perso l’uso delle dita della mano destra. E non era nemmeno mancino.
‹‹Spingi!››
‹‹Non ho più fiato. Ale… dammi un po’ di tregua.››
Il bambino si fermò. Sara respirò una boccata d’aria che sapeva solo di sudore. E spinse.
Alessandro si annunciò al mondo con un ruglio potente, affamato di aria e di vita.
‹‹Ora ci sono anche io!››
Era viscido, appiccicoso e puzzava.
Fu quello il momento in cui Sara scoprì che la gioia aveva una forma e si poteva baciare.
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