Sono appena le sei del mattino e mi guardo allo specchio, con la manica dell'accappatoio pulisco il vetro appannato dal vapore della doccia sempre troppo calda e non posso fare a meno di passarmi una mano tra i capelli bagnati. Evviva, nessun segno di ricrescita! E le meches blu si vedono ancora! Avrei voglia di svegliare mio marito per dirgli che ieri ha fatto un lavoro eccezionale con la tinta e che non andrò mai più dal parrucchiere, nemmeno alla fine del lockdown. Ma l'idea che tra un paio d'ore sarà tutto imbacuccato in un reparto Covid a far funzionare i respiratori mi fa desistere dal togliergli l'ultima mezz'ora di sonno. Anche io lavoro in ospedale, ma con il pubblico.
Il mio non è un reparto di prima linea nella battaglia che tutti stiamo combattendo, niente tute uscite da film di fantascienza, niente silenzio interrotto soltanto dal suono dei respiratori e dai “beep-beep” dei monitor. Qui è iniziato tutto con un vetro tra me ed i pazienti che accolgo, per continuare poi con mascherine e disinfettante. A volte, per il forte odore, sembra di lavorare in piscina. E, a volte, vorrei avere quella leggerezza nel cuore di chi lavora in piscina. Non sono un medico e non ho la più pallida idea di cosa significhi il distacco emotivo o vedere le persone per la loro patologia. Io vedo entrare soltanto delle persone, le chiamo per nome e do loro il benvenuto. Chiedo le loro generalità, spiego un po' quello che li aspetta nella loro giornata qui da noi (niente di tipo medico, solo le cose pratiche) e poi li ascolto. Che mi vogliano parlare dei loro nipoti o delle loro preoccupazioni, io li ascolto sempre. E sorrido. Lo sapevate che ci sono sorrisi per ogni occasione? Ci sono i sorrisi consolatori che ti dicono che il peggio è passato; ci sono quelli di solidarietà, quelli che ti dicono che andrà tutto bene, quelli teneri che sottolineano qualcosa che qualcuno ha detto.
Non odio la mascherina per il senso di soffocamento o per il respirare tutto il giorno un'aria che sa di anidride carbonica e colluttorio, ma perché nasconde i sorrisi. Anche se i miei pazienti mi rassicurano sempre che si vede dagli occhi quando sorrido.
Ed è a questo che penso mentre, dopo anni di trucco appena accennato col mascara, contorno gli occhi con una matita colorata che metta in risalto i miei occhi castani e che richiami vagamente le meches. A volte mi sento come una di quelle ragazzine che mettono selfie su Instagram mentre mi preparo con tanto impegno per andare al lavoro, ma per me curare l'aspetto è importante, ancora di più in questo periodo di incertezza e paura: arrivare in un reparto oncologico e trovare chi ti accoglie sciatto e un po' accigliato rischia di rendere ancor più spaventoso un posto già non troppo allegro.
Vorrei osare un po' di rossetto, ma con la mascherina l'effetto “Joker di Batman” sarebbe assicurato, e quindi rinuncio.
Un vezzo però me lo tolgo: lo smalto sulle unghie. Se penso alla vera novità che il Covid ha introdotto nel mio aspetto, beh, si tratta proprio delle unghie. Io faccio judo e difficilmente ci si ferma per una stagione intera. Nel mio sport le unghie lunghe non esistono, perché possono diventare un pericolo per gli altri e in ogni caso si spezzerebbero alla prima presa. Mettere lo smalto sulle unghie curate e allenarmi due/tre sere a settimana in salotto con mio figlio su un materassino improvvisato non mi ripaga del vuoto che i miei compagni di squadra hanno lasciato: facciamo allenamenti online, ma lavorare con scope e cuscini non è proprio come farlo con un compagno vero. Però allenarmi con mio figlio è diventato un piacere, anche se più che due sportivi sembriamo due gatti in pigiama che si azzuffano e si fanno il solletico. Questo tempo solo nostro per me è molto importante: col papà condivide la passione per il basket, e con me sta creando questo luogo fuori dal mondo dove ogni cosa ha un nome giapponese buffo e le regole della fisica permettono piccole magie. Controllo l'orologio e ho ancora un quarto d'ora abbondante prima che la casa si svegli a suon di musica e passi trascinati di non ha troppa voglia di alzarsi.
Mi guardo di nuovo allo specchio, tolgo l'accappatoio e sì, quello che vedo mi piace. Forse mi sono un po' arrotondata negli ultimi tempi (#iononmipeso, ma solo perché sono anni che non tengo una bilancia in casa) e devo ammettere che non sono malaccio così morbida. Potrei addirittura tentare quel vestito verde che tanto mi piace, perché è il colore della speranza e di questa bellissima primavera lasciata agli uccelli e al dominio della natura. Da quando siamo in lockdown ho preso l'abitudine di andare al lavoro a piedi, perché, anche se sono autorizzata agli spostamenti, sono un po' stanca di essere fermata dai carabinieri e compilare autocertificazioni. E' vero, ci metto più tempo, ma è bellissimo vedere la città che è solo mia e degli uccelli che, un cinguettio alla volta, hanno cancellato la cacofonia dei clacson e delle automobili che corrono sull'asfalto. A volte faccio la passeggiata ascoltando musica dal mio iPod e, complice il deserto che attraverso, mi metto a ballare e canticchiare per strada, una cosa che sono sempre stata tentata di fare, ma che per paura di un TSO non avevo mai fatto.
Prendo il primo di quei troppi caffè che accompagneranno la mia giornata mentre preparo la colazione per gli uomini di casa e per quella santa di mia sorella che viene ad occuparsi di mio figlio quei tre giorni alla settimana in cui lavoro, e questo è l'unico momento immutato nonostante gli eventi: la mia solita tazzina, il mio solito espresso, il solito paesaggio fermo della prima ora dopo l'alba che mi fa compagnia.
Quando hanno annunciato il lockdown mi sono trovata spiazzata: per mio figlio, per il mio lavoro, per tutto quello per cui mi alzo la mattina. All' università un docente una volta disse: “Dovete cogliere da ogni vincolo un'opportunità!”, ed è così che ho scelto di vivere il mio periodo Covid. Ho riservato le lacrime e lo scoramento ai momenti in solitaria sotto la doccia. Ma per tutto il resto del tempo sono stata una mamma felice del tempo di qualità che mi è stato concesso col mio bambino, una moglie felice pronta a cenare sul terrazzo a lume di candela per portare suo marito a cena fuori, un'atleta felice che ha lavorato su alcuni dei suoi difetti e sul potenziamento muscolare, una secchiona felice che ha finalmente terminato alcuni degli studi trascurati per mancanza di tempo, una donna felice perché quella che vede allo specchio è una donna che non ha mai smesso di lottare.
La radiosveglia mi desta dai miei pensieri, vado a spegnerla e do il buongiorno a mio marito.
Quello che la mia bocca dice è << buongiorno amore, sto andando al lavoro >> , ma il messaggio subliminale del mio cuore e della mano che gli accarezza il capo rasato è << ti prego stai attento e torna a casa stasera, ti prego aggiustali solo quei respiratori e non ti azzardare ad usarne uno! >> .
Gli do un bacio di sfuggita ed entro con passo felpato in camera di mio figlio. Come al solito dorme contorto tra le lenzuola stropicciate. Scosto i suoi capelli biondo cenere dalla fronte per dargli un bacio leggero, non lo voglio svegliare, non voglio che abbandoni il mondo dei sogni ancora per un po'.
Poi prendo la borsa e mi avvio di buon passo al lavoro … sempre con le scarpe da tennis … perché se vuoi andare lontano hai bisogno di scarpe comode.
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