Stavamo tornando dal Carnevale di Fano quando, guardando un cellulare che fino a pochi minuti prima era stato relegato all'uso di macchina fotografica, ho trovato quasi un centinaio di messaggi nella chat genitori di WhatsApp. Lo spauracchio di questo Co-qualcosa-19-virus in un attimo era diventato realtà: scuole chiuse a tempo indeterminato e, ciliegina sulla torta, io lavoro in ospedale senza possibilità di smart working da casa. E, di sicuro, non posso decidere dalla domenica al lunedì di non presentarmi al lavoro. Don't Panic! Una telefonata a mia madre e tutto risolto: “Tesoro vai a lavorare, senti cosa ti dicono, per qualsiasi cosa a lui ci pensiamo noi”. Il lui in questione è Ale, un ragazzino di quasi dieci anni che ha sempre preferito un tiro a basket alla playstation o un tuffo dagli scogli ai cartoni animati. Un ragazzino che ama la scuola e che riconosce i suoi compagni di classe dal profumo dei loro grembiuli o dal rumore dei loro passi. Finché le attività sportive non hanno chiuso, quasi dieci giorni dopo le scuole, per Ale è stata una vacanza magnifica: sveglia tardi, colazione lenta, giochi e attività ludiche a casa della nonna, qualche lettura e poi al campetto e film dopo cena con mamma e papà. Quando la mamma ed il papà in questione hanno realizzato che le scuole potevano non riaprire più (siamo dei privilegiati sulle previsioni: lavoriamo in ospedale ed è chiarissimo quando una crisi non rientrerà a breve) abbiamo preso tutti i suoi libri e un block notes, cercando di capire cos'era stato fatto in classe, quanto mancasse per arrivare alla fine dei programmi, cos'era stato lasciato indietro. Abbiamo quantificato il lavoro da fare e creato un calendario didattico suddiviso tra tutti noi famigliari: italiano e inglese io, matematica, geografia e scienze il papà, storia la nonna, letture e comprensioni la zia. Buona pace per musica e disegno.
E così abbiamo cominciato con questa cosa dal nome esotico, home-schooling, con tre ore di lezione al giorno a seconda di chi era a casa con lui, con la scoperta e lo studio di siti che avessero dei materiali didattici validi, e una menzione d'onore a YouTube, Alberto Angela ed il National Geographic Channel che hanno alleggerito grazie alla multimedialità un lavoro gravoso. Vi starete chiedendo come mai Ale non partecipasse alle videolezioni. Semplicemente non ci sono state per quasi metà del lockdown … inizialmente ( e qui sono generosa, perché “inizialmente” era già primavera, quando ormai si erano superati i trenta milioni di pizze fatte in casa dagli Italiani) avevamo un po' di compiti segnati su classroom con scadenze settimanali, ed abbiamo dovuto fare prima una riunione solo tra genitori e poi una riunione con le insegnanti per ottenere almeno una videolezione al giorno per ogni materia. A mio figlio piace imparare, è curioso ed entusiasta e questi pochi stimoli da parte della scuola non gli stavano facendo bene, uniti alla situazione di quasi isolamento che stava vivendo. Ecco perché abbiamo adottato questo tipo di didattica esclusiva all'inizio, mista quando le cose sono cambiate. Mio figlio, pur avendo un'informatica come mamma e un perito elettronico come papà, non è stato cresciuto come un “nativo digitale” , perciò il primo scoglio grosso è stato fargli utilizzare un pc in totale autonomia. Per me è stato terribile: lui è un ottimo allievo, è bravo e si impegna, ma io non so insegnare e già di mio non ho pazienza e ancor meno ne ho quando qualcuno non è veloce con i computer quanto me. Quindi all'inizio mi sono sentita frustrata, perché incapace di aiutare mio figlio. Ma, come ho scritto poco fa, lui è bravo ed in poco tempo ha imparato a gestire tutto quanto da solo. Faceva i suoi compiti, io e suo papà li correggevamo, discutevamo insieme sul perché avesse scelto alcune risposte e non altre (anche se erano giuste: quello che il Covid-19 ci ha regalato è stato la conoscenza del modo di ragionare “scolastico” di nostro figlio con il quale non ci eravamo mai confrontati “da dentro”) , facevamo correre i ragionamenti lontano. Abbiamo introdotto giochini matematici nelle nostre serate ludiche e riesumato un vecchio gioco da tavolo per imparare l'inglese. Abbiamo consumato la stampante di casa a furia di “fogli di brutta” per gli esercizi che le maestre volevano direttamente sul portale. Siamo diventati tutti velocissimi a scansionare i compiti col cellulare e a caricarli anche prima della scadenza, perché Ale non sopporta consegnare le cose in ritardo.
Alla fine siamo stati un po' aiutanti e un po' docenti ed è stata un' esperienza interessante.
Come aiutanti, rispetto alla scuola normale, c'è stata la parte del fotocopiare/stampare/scansionare e correggere, e questo non è stato poi così impegnativo. E come aiutanti, rispetto a prima, è venuta meno la parte del ripetere la lezione, perché sostituita da confronti e discussioni a ruota libera, prendendo magari spunto da qualcosa visto in televisione o su un giornale o, perché no, fuori dalla finestra e in cucina.
La parte dei docenti invece è stata una vera e propria sfida, perché non si tratta solo di studiare le cose dimenticate e imparare ad insegnarle “a misura di bambino” , c'è una parte più intima e profonda che riguarda il rapporto umano alunno-maestro e che un genitore non può sostituire, nemmeno in caso di lockdown.
Osservare il modo di ascoltare e di interagire che Ale ha quando ascolta o lavora con la sua maestra (anche se da pc comunque il rapporto è quello) mi ha fatto capire quanto , nel fare le stesse cose con me, entri in gioco la componente affettiva. Io sono la mamma, lui mi ama e mi ascolta perché sono la mamma. Ho sempre ragione, sono un porto sicuro, sono quella che non gli darà mai uno zero anche se non da il massimo, perché anche io lo amo.
Non so quali saranno i risultati a lungo termine e quanto rimarrà a lui di questa esperienza un po' strana. Sicuramente per me è stata un'occasione di crescita personale, perché mai e poi mai nella mia vita avrei pensato di dover spiegare la differenza tra un racconto fantastico e uno di avventura!
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