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Immagine del redattoreAnnaclaudia Amadori

Una settimana di tempo

<< Metà del pianeta verrà distrutta dall'impatto con l'asteroide, mentre l'altra metà morirà per l' inverno nucleare. Si cons … >> Jordi spense la televisione e accese lo stereo, controllò i siti delle più importanti agenzie spaziali, dalla NASA alla JAXA, e tutte confermavano quello che si vociferava da mesi: l'impatto con l'asteroide era inevitabile e nessuna delle soluzioni ipotizzate poteva salvare la Terra. Con una tazza di tisana bollente in mano, si avvicinò alla finestra mentre Brian May&Tangerine Dream suonavano Supernova, per osservare il caos che da giorni regnava per le strade: gente che aveva saccheggiato i negozi, immondizia, pochissime persone in giro. Per lui era diverso: non aveva mai avuto paura di morire, perché sapeva che non ci sarebbe stato nessuno a piangerlo davvero. Magari qualcuno del forum di astronomia avrebbe lasciato qualche post per celebrarlo, forse avrebbero fatto dei brindisi a lui nei club che frequentava, ma non si aspettava niente di più. L'asteroide aveva soltanto anticipato quello che era il destino di ogni essere umano, e sarebbero morti tutti insieme. Fossero stati tutti come lui, il mondo non si sarebbe fermato fino alla fine e, sicuramente, nessuno avrebbe mai imbrattato i muri della sua bellissima Firenze, la città che aveva accolto lui e la sua famiglia dalla Spagna 36 anni prima. Arrivò nel suo campo visivo una mamma che camminava con suo figlio, tranquilla, come se la fine del mondo imminente fosse solo una bufala. Si tenevano per mano, e lei accarezzava con il pollice il dorso del bambino, un movimento lento e continuo che Jordi conosceva bene e che gli fece urlare in testa la domanda che aveva evitato per troppo tempo: le sue scelte erano state giuste?

Aveva dedicato la vita al suo lavoro come chimico farmaceutico alla Shire Italia, guadagnando molto più di quanto riusciva a spendere. Aveva finanziato studi e passatempi di chi gli veniva utile al momento, aveva sempre pagato per far finta che quel vuoto che si era creato attorno non esistesse. Un sorriso dolce amaro gli attraversò il viso, non era vero che aveva “sempre” pagato : nella sua mente riecheggiavano imbarazzanti discussioni al ristorante perché un conto venisse diviso per due, o un inutile cavetto verde per auricolari che lei aveva indossato per anni come il più prezioso dei monili. Il ricordo della risata argentina di Vanessa aveva ancora il potere di sciogliere il muro di ghiaccio con cui proteggeva la sua vita. Quella Vanessa cocciuta e determinata che voleva solo che lui aprisse il suo cuore, che voleva il suo tempo e non i suoi soldi, quella che gli aveva dato tutto e che con quel tutto lo aveva spaventato. Si sentì soffocare, e non capì se fosse per l'odore di una casa che non veniva aperta da giorni o per il rimpianto di non averle detto che aveva sbagliato tutto e che non avrebbe mai dovuto buttarla via. Non era mai stato un tipo da introspezione, e non era abituato a gestire rimorsi e rimpianti. Appoggiò la tazza ormai fredda sul tavolino dell'ingresso, e si incantò davanti a quella foto rubata che lei non aveva mai visto, quella in cui lei era in punta di piedi e cercava di annusare i fiori di un gelsomino. Decise di chiamarla. “Il cliente non è abilitato a questo tipo di chiamata” . Vanessa aveva bloccato il suo numero verso le chiamate in entrata. Negli anni si erano allontanati e riavvicinati più di una volta, e quindi anche dopo l' ultima discussione non-discussione Jordi aveva dato per scontato che non ci fosse niente di definitivo (<< Non ricordo nemmeno perché abbiamo discusso. Sicuramente sarà stato il solito mancato tempismo di Vane ed il mio pessimo umore per qualcosa che non aveva a che fare con lei. >>). Lei aveva sempre pazienza. Lei tornava sempre. E l' ultima volta che si erano incontrati non c'era stata nemmeno una discussione vera e propria: dopo mesi di messaggi, si erano visti di persona ad una conferenza, lei lo aveva evitato e, nei momenti di contatto obbligatorio, Vanessa era stata glaciale e piena di risentimento, aveva deciso di arrendersi con lui. Qualche settimana dopo lui aveva provato a contattarla, ma lei lo aveva bloccato ovunque e nemmeno le sue e-mail avevano ottenuto risposta.

Jordi non voleva morire senza rivederla. Lei poteva impedirgli qualsiasi contatto virtuale, ma sicuramente non poteva chiudere il pronto soccorso dell'ospedale di Faenza ed era certo che, fine del mondo o no, lei sarebbe stata lì per prendersi cura degli altri altri fino all'ultimo. Vanessa non abbandonava mai nessuno.

Si maledisse per non aver mai preso la patente. Ma non sarebbero stati 100 km di distanza a farlo desistere. La 100 km del Passatore, nata sull'onda di una caccia al tesoro tra le cantine romagnole, era la sua unica speranza di finire la sua vita facendo la cosa giusta. E se c'erano persone che la percorrevano a piedi in una giornata, per lui che non era allenato una settimana poteva bastare. E magari, con un po' di fortuna, avrebbe trovato un passaggio per strada per accorciare la distanza.

Preparò uno zaino in fretta con scarpe e calze di ricambio, un sacco a pelo, qualche snack e una borraccia d'acqua, staccò anche la foto di Vanessa dal muro, la mise nella tasca interna del suo giaccone e partì, sbattendo per l'ultima volta la porta di casa sua.

La città puzzava di urina e di gomma bruciata, e per i sensi di Jordi fu un sollievo arrivare a Fiesole, che con i suoi alberi immuni alle preoccupazioni dell'umanità lo riempiva di pace e di speranza. Si fermò a mangiare una barretta energetica e a rifornire la borraccia ad una fontanella vicino all'anfiteatro romano e poi ripartì verso Borgo San Lorenzo.

Lungo la strada aveva provato a fermare qualche automobile di passaggio, ma nessuno aveva nemmeno rallentato. I piedi cominciavano a fargli male, il respiro sempre più affannato. Accarezzava di tanto in tanto la foto che portava sul cuore e nel silenzio che lo circondava erano i ricordi a far rumore: pensò alla prima volta in cui aveva incontrato Vanessa ad un convegno ed alla banale scusa di offrirle dei cantucci solo per parlarle, per scoprire che uno dei piatti che amava di più era il lampredotto. E al viaggio a Barcellona alla scoperta delle sue radici, perché con lei niente poteva fargli male.

Arrivò a Borgo San Lorenzo e trovò rifugio in un negozio di articoli per animali. Trovò qualche scatoletta di cibo e quella fu la sua cena. Fu felice di constatare che il sapore non era troppo differente dalla carne in scatola destinata all'uso umano.

La mattina seguente, nonostante i muscoli indolenziti, si mise in cammino verso Marradi poco dopo l'alba. Camminare sulla strada che attraversava gli appennini, con alberi secolari ed il canto degli uccelli, era quasi piacevole. Il cammino era attraversato da borghi antichi, dove il tempo pareva essersi fermato. Questi borghi sembravano popolati soltanto da anziani che, noncuranti della tragedia che stava per verificarsi, continuavano a trascorrere le loro giornate in modo normale, nelle piazze e nei bar, parlando in un dialetto che Jordi non capiva. E proprio in uno di questi borghi, a Lutirano, concluse il suo secondo giorno di cammino, perché sapeva che il tratto Marradi- Passo della Colla di Casaglia sarebbe stato quello più impegnativo, per via dell'altitudine. In un caffè conobbe Gianni e Rosa, sposati da 64 anni e, un po' per la stanchezza, un po' per quel futuro alternativo che aveva davanti agli occhi e che non si sarebbe mai avverato per lui, aprì loro il suo cuore. Gli era sempre piaciuto considerarsi un cane sciolto, avere il controllo di ogni situazione. Suo padre li aveva abbandonati poco dopo il loro arrivo in Italia, sua madre passava da un uomo all'altro, distruggendosi, e lui non avrebbe mai voluto una vita influenzata da terzi. Così aveva studiato e lavorato sodo per arrivare ad essere qualcuno. Non si affezionava mai a quelle donne che gli orbitavano attorno. Non finché non aveva conosciuto Vanessa.

Rosa e Gianni lo ospitarono per la notte, gli offrirono una cena calda, la prima da giorni e, a colazione, decisero di accompagnarlo in auto fino alla sua destinazione.

La vecchia panda 4x4 fece fatica a mettersi in moto e tutti e tre partirono verso l'ospedale di Faenza. Il rumore di quel motore fermo da chissà quanto impediva una conversazione, Jordi era impaziente, spaventato e felice. Rivedere quegli occhi color nocciola, sentire di nuovo la sua voce profonda, perdersi nel suo abbraccio rassicurante era tutto ciò che desiderava.

Arrivarono all'ospedale di Faenza poco prima dell'ora di pranzo: c'era una gran confusione, persone che urlavano, infermieri indaffarati. Poi Jordi la vide, china su una barella. Le si avvicinò e sussurrò il suo nome. Lei alzò lo sguardo, gli sorrise. <<Jordi>>

Il suo cuore si riempì di pace. Un detrito impattò sul pronto soccorso. E furono solo fumo e polvere.



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